Un diario lungo quarantanni – Estate 1978

Il rapporto di fotografo dipendente volge al termine, sono certo il mio contratto non verrà rinnovato. Forse sono dispiaciuto di lasciare gli amici conosciuti nei sei mesi di utile apprendistato, ma guardo con troppo interesse il mondo della fotografia commerciale per fermarmi a lavorare senza la piena autonomia decisionale. Mia madre è a casa stabilmente, in pensione, dopo una vita come operaia. La sua presenza è inconsueta dopo venticinque anni di padronanza della casa. Abbiamo qualche ritegno quando ci troviamo a frequentare le stese stanze per più di due settimane. È un mondo nuovo. Il mondiale di calcio in Argentina è il filo conduttore della fine di primavera. La liquidazione e i risparmi sono consistenti per avere una vita autonoma, la mia amata è ancora in esilio. Una parte mi sarà utile per vivere un viaggio in Nord Africa, organizzato con lentezza e indecisione per l’imprevedibilità degli avvenimenti che i miei compagni di viaggio vivono nella fredda estate 1978.  Sono pronto, nonostante il vuoto negli affetti, la precarietà del viaggio e la stagione estiva tarda ad arrivare. Ho un parco macchine composto da una Minolta SRT 101 con tre obiettivi, i canonici 28, 50 e 135 millimetri. Chiesta e avuta alla maturità mi ha introdotto alle gioie della fotografia. La mostra di Paul Strand a Castelvecchio 1977, visitata due volte per assorbire la presenza vivida delle immagini, mi ha indotto a considerare un cambio di formato. Leggo e capisco che qualcosa mi affascina nel ingrandirsi della superficie della pellicola. Compero una Pentacon Six al mercato “nero” con relativi obiettivi e mi trovo in un mondo incantato con la necessità di un cavalletto per sostenere i sogni di avere le foto perfettamente a fuoco. La preparazione dell’attrezzatura per il viaggio è un quid che risolvo a metà. Metto il frigo portatile, color panna e verde, rigido, riempio l’interno il materiale per conservare al fresco le diapositive, come primo e indispensabile supporto al viaggio. Sarà lo scrigno da cui attingere il materiale sensibile per avere fotografie di qualità. Il cavalletto rimane nei sogni e sarà l’incubo per un mese di riprese a mano libera con il macigno Pentacon a ondeggiare tra la sabbia e le stoppie di un terribile estate africana. Lascio a riposo il formato 135, il mio compagno di viaggio ha comperato una Nikon FM con lo scopo di fotografare e aggiungo qualche pellicola alla dotazione, copiosa che staziona nel frigo.

Jerry Garcia – Eep Hour

Il viaggio inizia tra le difficoltà organizzative e i ritardi. Uno dei componenti del terzetto è assente il mattino della partenza, ricomparirà il pomeriggio seguente, quando pronto per il viaggio, inaspettatamente, manderà sui fili del telefono l’annuncio di passare a prenderlo. Due giorni difficili di viaggio senza soste fino a Gibilterra.

Svago temporaneo sulla costa spagnola e poi le montagne del Marocco con il caldo di agosto che avanza inesorabile.

Riviere des hippies

Il tragitto verso Fes è un forno senza sosta e la visita alle città imperiali, si limita a Meknes che ci costa sudore e giornate boccheggianti.

Chefchauoen

L’itinerario alternativo è verso il mare e troviamo pace sulla costa atlantica a El Jadida e dintorni. L’oceano porta frescura e la vita diventa meno dura. L’albergo è posizionato con un lato prospiciente la stazione delle corriere che si anima molto presto. L’alba è il principio delle grida dei “buttadentro” che chiamano a raccolta uomini, donne, bambini, capre, galline e qualsiasi animale possa essere trasportato all’interno o sul tetto degli autobus. Il vociare è continuo e senza nessuna sveglia alle sei siamo completamente senza sonno. D’incanto un pomeriggio compare nei corridoi ventilati dell’albergo, un compagno d’arme che si appresta ad attraversare il deserto in moto. Il bersagliere Mazzon scomparso dalla mia vita cinque anni prima è vestito come l’ultima volta ci siamo visti in caserma, manca il fez, ma il resto è uguale. Saluti e baci e inizia il Ramadan con un repentino cambio di prospettiva da vivere durante la giornata. La spiaggia è ampia sabbiosa e la città uno splendore così come le coste intorno.

Marocco 1978

Fotografo con costanza facendo dei lunghi giri a piedi al mattino dopo aver maledetto gli organizzatori dei viaggi che gridano come ossessi fino alla partenza di, scassati e carichi oltre ogni limite, autobus verso l’interno o la costa sud. In spiaggia è difficile stare, il vento dell’oceano è continuo e il bagno spesso pericoloso per le onde che si frangono alte sulla battigia. La mondanità e la modernità sono nei piccoli bar che contornano la vasta spianata di sabbia che entra nel mare.

Conosciamo ragazzi e ragazze nostri coetanei che curiosi della nostra lingua “esotica” si presentano al tavolo con l’intento di stringere amicizia. I miei compari vengono amabilmente affascinati da due, vere, bellezze del luogo e furtivamente mi lasciano padrone della camera andando a Casablanca per vivere liberamente i loro amori estivi. Mantengo la camera dell’hotel, mi trasferisco in casa di universitari conosciuti nelle passeggiate fotografiche. Una settimana di vita marocchina che inizia con la sirena che dà inizio alla notte di festa. Ristoranti e bar con musica che con l’addentrarsi nella notte prende il sapore della protesta e contestazione ad Hassan II.

Assisto ai corteggiamenti a distanza, agli appuntamenti veloci con ciurma di fratelli e sorelle che sorvegliano la promessa sposa o così viene chiamata con i sorrisi maliziosi dei miei coetanei. Il cibo è stupendo e la notte fantastica, le mattine sono impegnato in fotografie e lezioni ad un ragazzo che ha una splendida camera oscura completamente inusata per mancanza di tecnica spicciola. Imparo a mie spese la difficoltà di fotografare con l’imponente Pentacon Six che è troppo vistosa per essere accettata da una società poco avvezza alla fotografia e in pieno Ramadan. Mi limito a fotografare con discrezione e uso la Nikon per tutto il resto. I pomeriggi sono lunghi e la vita rallenta.

Penso alle mie vicende amorose e uno di loro Abdellah m’interroga, ascolta il mio racconto in francese, pensa e rimane senza parole. La sera seduti in un bar al aperto, nel bel mezzo di un concerto magnifico, il gruppo si ferma e suona una canzone per un italiano innamorato. La dedica si perde nella notte e “Habibi”(1) si spreca, finché il mio interlocutore mi spiega il significato. Tutti sono fiduciosi che l’amore regnerà sovrano. Osservo il mare scuro e la distanza mi soverchia pensando alla lontananza sempre più profonda. Rimango a guardare le canne, i tavolini d’alluminio e la notte inghiotte amore e disperazione.

 

 

Juan Peña y el Orquesta Andalusi El Anillo Jibulli

Tornano i miei compagni di viaggio contenti, un paio di giorni per riordinare le idee e siamo in marcia per ovest. Il ritorno è spedito e quando siamo in Italia la voglia di tornare a casa è ai minimi, ma una telefonata ci svela che per ragioni diverse il nostro viaggio è terminato. Torno e immediato è l’incontro con quanto ho lascito d’irrisolto. Al ritorno la vita fotografica ha preso una piega diversa. Lavoro ancora per il titolare dello studio. Porto in collina una serie di roulotte con lo sforzo e la consapevolezza io possa camminare con le mie gambe nel mondo della fotografia. L’amore è in periglio. Diversità di vedute sulla nostra sorte e la nostra esistenza esige scelte precise. La mia volontà di proseguire la strada per smarcarmi da una vita condizionata è sempre consistente, aiutata dalla possibilità di avere a breve un’attività per rendere meno complesso mantenersi fuori dalle imposizioni. La sua volontà di rimanere al gioco della famiglia con lavoro sicuro e un uomo normale sono inconciliabili. Nascono agguati sentimentali, liti e ripicche senza senso. Sono sempre più le lame lacerano la nostra lontananza. La mia proposta in cui ognuno sia libero di vivere la propria vita per poter scegliere senza condizionamenti genera la rabbia e l’ira si spreca nella mia amata e vivere le poche occasioni d’incontrarci diventa una pena. I soldi in tasca dopo la fine del rapporto di lavoro sono abbastanza per vivere bene per almeno tre mesi. Il mondo della fotografia gira a mille e la volontà di proseguire nella professione è sconfinata. L’autunno anticipa e la storia continua.

(1) la traduzione della parte in arabo è deficitaria sull’onda della memoria

Portami il mio amore

E quella cura per curare il mio piccolo cuore

Come lo dimenticherò

nelle mani di Dio se ne andò

Molte delle diapositive 135, conservate dal mio compagno di viaggio fotografo per una sola estate, si sono perse nel corso degli anni e alcune fotografie in formato 120 sono nascoste nel mio archivio. Quelle presentate sono state preservate nella busta di lavorazione.

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